
Spesso e volentieri il condomìnio si trova nella necessità di agire ovvero difendersi in sede civile contro soggetti terzi. Tuttavia, non tutti i condòmini potrebbero essere d’accordo a dare impulso o a partecipare a simili controversie. In tali casi, come e quando si può esprimere il proprio dissenso?
Andiamo ad approfondire.
1. Fonte normativa e conseguenze del dissenso
Al fine di rispondere all’interrogativo supra avanzato occorre prendere a riferimento il disposto di cui all’art. 1132 c.c., il quale, allorquando l’assemblea dei condòmini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere ad una domanda, riconosce in capo al condòmino dissenziente la possibilità di separare la propria responsabilità da quella del condomìnio in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza. In altri termini ogni singolo condòmino può dissociarsi da una lite insorta, sia essa attiva sia essa passiva, rimanendo esonerato dalle ripercussioni negative dell’eventuale perdita della stessa.
In sostanza, in caso di soccombenza del condomìnio in giudizio, il condòmino dissenziente, in deroga al principio generale di ripartizione delle spese condominiali di cui all’art. 1123 c.c. (per il quale le stesse andrebbero ripartite tra tutti i condòmini secondo la rispettiva quota millesimale), non è tenuto ad effettuare esborsi alla parte vittoriosa a titolo di rifusione delle spese legali e processuali. Ogni eventuale deliberà di senso contrario è da considerarsi affetta da nullità radicale ed è, pertanto, impugnabile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse (Cfr., al riguardo, Cass. civ. nr. 11126/2006, laddove , per l’appunto, si precisa che “in tema di condominio, è affetta da nullità la delibera dell’assemblea che ponga le spese di lite, in proporzione della sua quota, a carico del condòmino che abbia ritualmente manifestato il proprio dissenso rispetto alla lite medesima deliberata dall’assemblea, giacché, in tal caso, l’art. 1132, comma primo, c.c., contemperando l’interesse del gruppo con quello del singolo titolare di interessi contrastanti, riconosce a quest’ultimo il diritto di sottrarsi agli obblighi derivanti dalle deliberazioni assunte sul punto”).
Rimangono però dovute anche dal condòmino dissenziente le spese inerenti all’attività stragiudiziale prodromica all’inizio della causa ovvero avente ad oggetto la valutazione della miglior strategia difensiva applicabile, tra cui può annoverarsi, a titolo esemplificativo, un parere richiesto all’avvocato o a qualsiasi altro professionista. Altresì il condòmino dissenziente mantiene inalterato il diritto di prendere parte alle successive deliberazioni assembleari concernenti il proseguo della controversia, concorrendo alla formazione della volontà comune, pur continuando a sostenere la propria contrarietà alla lite. Difatti, al riguardo non si è ritenuta ravvisabile un’astratta ipotesi di conflitto di interessi, in quanto questo va dedotto in concreto e può essere riconosciuto soltanto ove risulti dimostrata una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condòmini, il cui voto abbia concorso a determinare la maggioranza assembleare ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condomìnio (Cfr., sul punto, Cass. civ. nr. 15360/2001).
2. Modalità e tempi del dissenso
Ciò posto, il dissenso, per poter produrre i suoi effetti, deve essere manifestato expressisi verbis in un atto scritto, da notificarsi all’amministratore a mezzo raccomandata a/r entro 30 giorni da quello in cui il condòmino abbia avuto notizia della deliberazione dell’assemblea. Trattasi di termine di decadenza ex art. 2964 c.c. , sicché il mancato rispetto dello stesso preclude definitivamente al condòmino la possibilità di esercitare il proprio diritto al dissenso, a nulla rilevando le circostanze soggettive che abbiano portato all’inutile decorso del termine (Cfr., sul punto, Cass. civ. nr. 2453/1994, laddove, per l’appunto, si afferma: “il termine di giorni 30, previsto dall’art. 1132 c.c. per l’atto di estraniazione del condòmino dissenziente, è di decadenza, com’è fatto palese dalle parole usate e dalla ratio legis correlata all’esigenza di provvedere in tempi brevi all’amministrazione e di dare certezza ai rapporti condominiali caratterizzati da dinamismo e rapidità”).
3. Esito favorevole della lite
Qualora poi la lite da cui il condòmino si è dissociato abbia esito favorevole al condomìnio, ossia qualora quest’ultimo ne esca vittorioso a fronte di una vera e propria soccombenza altrui ovvero di una delibera di compensazione delle spese, il condòmino dissenziente che abbia tratto vantaggio da tale risultato, ad esempio in termini di miglior godimento ed utilizzo di parti comuni, è tenuto, ex art. 1132, terzo comma, c.c. “a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente”.
4. Limiti al dissenso

Tuttavia, va precisato che la facoltà di dissenso non è illimitata. In particolare, stando a quanto emerso dalla Cassazione e dalla dottrina dominanti, intervenute a colmare il silenzio normativo sul punto, il dissenso può manifestarsi solo in presenza di liti che:
- vedano contrapporsi, da un lato, il condomìnio e, dall’altro, un terzo estraneo ad esso e non un condòmino (Cfr., sul punto, Cass. civ. nr. 13885/2014, la quale, richiamandosi alla motivazione di Cass. civ. n. 801/70, ribadisce che “secondo risalente orientamento di questa Corte, cui il Collegio ritiene di dare continuità, nella specie di lite tra condomìnio e condòmino non trova applicazione, nemmeno in via analogica, la disposizione dell’art. 1132 c.c., che disciplina la materia delle spese processuali del condòmino che abbia ritualmente dissentito dalla deliberazione di promuovere una lite o di resistere ad una domanda rispetto ad un terzo estraneo”);
- riguardino le parti comuni dell’edificio;
- siano di natura civile;
- siano state deliberate in sede di assemblea, avendo un oggetto ed un contenuto che esorbitano dalle competenze proprie dell’amministratore così come delineate dall’art. 1130 c.c. Più precisamente un condòmino non può dissentire dalle liti promosse dall’amministratore nell’ambito delle sue attribuzioni, come, ad es., nel caso di un ricorso per decreto ingiuntivo finalizzato al recupero degli oneri condominiali ovvero nell’ipotesi del giudizio di opposizione al decreto stesso ovvero ancora nel caso di ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. per mancata consegna della documentazione condominiale da parte dell’amministratore uscente. Parimenti il dissenso non è ammissibile nemmeno nel caso di azioni giudiziali intentate contro il condomìnio e per le quali l’amministratore, nell’ambito delle proprie competenze, abbia deciso di resistere senza il preventivo consenso dell’assemblea condominiale (Cfr., in proposito, Cass. civ. nr. 7095/2017, laddove, per l’appunto, si afferma “l’amministratore di condominio, tenuto conto delle attribuzioni demandategli dall’art. 1131 c.c., può resistere all’impugnazione della delibera assembleare ed impugnare la relativa decisione giudiziale senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, atteso che, in dette ipotesi, non è consentito al singolo condòmino dissenziente separare la propria responsabilità da quella degli altri condòmini in ordine alle conseguenze della lite, ai sensi dell’art. 1132 c.c., ma solo ricorrere all’assemblea avverso i provvedimenti dell’amministratore, ex art. 1133 c.c., ovvero al giudice contro il successivo deliberato dell’assemblea stessa”. Cfr., altresì, in senso conforme, quanto alla giurisprudenza di merito, la recentissima Tribunale di Benevento, sentenza nr. 162 del 1 febbraio 2021).
Avv. Federica Maccioni